Agosto 2011 - La seconda missione in Togo di Michele Tommasi

Già, perché la missione dell’agosto 2011 era dedicata esclusivamente alla realizzazione di due impianti fotovoltaici da 3kw ciascuno per la produzione di energia elettrica nella missione e nel dispensario di Kpatchile, 600 km a nord della capitale e a 30 km dal Ghana, in un posto rurale dove la civilizzazione è ancora lontana anni luce. I 75 mc del container sono stati riempiti grazie alla generosità di tante persone che hanno contribuito consegnando vestiario, giocattoli, medicinali e cibo a lunga scadenza che è stato, vi assicuro, tutto consegnato e che ha fatto felici decine e decine di famiglie. Quando Suor Rita ci ha comunicato di aver provveduto allo sdoganamento e poi alla consegna di tutto quanto c’era all’interno, per noi è stata una gioia e, al nostro arrivo nella missione, trovando il magazzino semivuoto già ti veniva voglia di spedirne subito un altro. La missione vera e propria inizia l’11.8.2011 con volo Royalair Maroc via Casablanca (che non suggerisco a nessuno).

Arriviamo a Lomé e qui iniziano le disavventure che, vi dico già, alla fine ci avranno solo fortificato. Uno dei bagagli a mano, contenente il passaporto della proprietaria viene perso e alcune valigie spedite, altrettanto. Suor Rita riesce ad entrare, alle 4 del mattino, nell’area arrivi e grazie alle fotocopie presenti all’interno di ogni valigia spedita, riusciamo ad uscire tutti e sette dall’aeroporto, non prima di aver svegliato l’addetta ai bagagli smarriti che, alle 4 di mattina, con l’unico volo in arrivo, non si aspettava di dover compilare i moduli per lo smarrimento di cinque valigie. Ci dirigiamo alla missione di Lomé per fare il punto della situazione. Dopo una breve colazione decidiamo di dividerci. Io, Nicola e Gabriele partiamo subito per la missione di Suor Rita in quei di Tchebebé con l’autista mentre Manlio, Claudia, Mattia Claudio e Suor Rita rimangono a Lomé per cercare, nei giorni successivi di recuperare le valigie e il passaporto. E qui le nostre strade si dividono, e anche il racconto. Dopo sei ore di viaggio nelle solite strade togolesi, anche se chiamarle strade è un eufemismo, arriviamo alla missione. Le suore ci riservano, come sempre, una calorosa accoglienza e altrettanto caloroso è il primo tifone tropicale che ci dà il benvenuto: acqua ovunque. Ma noi, almeno, abbiamo un tetto: pensiamo alla popolazione un po’ meno fortunata di noi che, probabilmente, nell’occasione, avrà modo di fare una doccia imprevista. Il pomeriggio lo dedichiamo alla logistica ed alla preparazione del materiale che l’indomani mattina partirà con la gip alla volta della missione. Sembra esserci tutto anche se in realtà sembra che ci manchi tutto: il fatto è che tutto è arrivato con il container direttamente nella missione dove verranno realizzati i due impianti. Il sabato mattina partiamo e, accompagnati da un altro tifone tropicale arriviamo, dopo una breve sosta alla missione di Kara, dopo gli ultimi 90 km di pista a Kpatchile.

Il nuovo briefing sui materiali evidenzia un nuovo problema, manca, forse il pezzo più importante per iniziare a lavorare, un particolare martello pneumatico per inserire i tappi a pressione nel basamento di cemento disarmato che alcuni lavoratori locali hanno realizzato. Lo cerchiamo affannosamente ovunque e alla fine non ci resta che arrenderci e chiamare Suor Rita (che ricordo essere a 11 ore di macchina da noi). Rita ci racconta che nel marasma delle valigie e per il fatto di non aver viaggiato con noi si è dimenticata di dirci che quel prezioso utensile era rimasto nella sua missione: panico! Realizziamo che l’unica possibilità è quella, l’indomani, di partire all’alba raggiungere la missione intermedia di Karà dove sarebbe dovuto giungere il trapano con una suora, un autista da Tchebebé e così è stato. Parto con una suora alle 4,30 del mattino, con un buoi pesto e una pioggia battente, percorro i 90 km di pista in poco più di due ore, c’è il tempo anche di andare un attimo a vedere che cantano e che ballano alla messa del mattino e poi veder giungere l’auto con gli attrezzi mancanti; lungo la strada sotto la pioggia ci sono già tante persone che si avviano verso i campi o verso i pozzi: è uno spettacolo triste che ti fa capire quanto piccole cose siano importanti per poter vivere quotidianamente. Una breve colazione (già perché ogni volta che transiti dalle suore devi mangiare o bere qualche cosa) e riparto consentendoci alle 11 di iniziare a trapanare. Dei sette della spedizione siamo solo in tre a lavorare, anche se una quarantina di bambini ci fanno sistematicamente compagnia. L’orario di lavoro è dalle 6 alle 18,00 con pausa pranzo alla quale le suore tengono molto perché sono convinte che a casa noi non mangiamo mai.

Il lunedì Gabriele, la mente del progetto, prepara una lista di materiali da andare a comprare, l’indomani a Karà. Riparto, quindi, con un’altra suora ed andiamo a fare spesa di tubi e di materiali che, in Italia compreresti dal primo ferramenta all’angolo, a Karà, se li trovi, dopo 8 ore di ricerca e di spiegazioni. Nell’occasione compriamo le solite ed immancabili verze, l’unica verdura che si può fare cotta e che non manca mai. E così la pista di 90 km che oramai conosco, mi regala un tempo di percorrenza sotto le due ore. Ma il martedì è anche un giorno importante perché da Lomé arriva la notizia che le valigie sono arrivate ed anche il trolley con dentro il passaporto ed i soldi è arrivato intatto. Suor Rita annuncia che l’indomani Manlio e Claudia, con un pulmino locale sarebbero arrivati alla nostra missione. Nel frattempo, Rita, Claudio e Mattia, uniti a Justen, il martedì arrivano alla missione e l’entusiasmo, nonché il clima di festa si impennano decisamente: le birre scorrono a fiumi per superare il caldo delle giornate, considerato, altresì, che l’acqua è meglio non berla. Justen è l’uomo di fiducia delle suore in quel di Tchebebé che Suor Rita ha deciso di portare a Kpatchile per un ulteriore contributo di manovalanza, rivelatosi vincente in quanto con la sua tartaruga scolpita sugli addominali (e secondo noi anche sulla schiena) con la solita stessa zappa che usano i contadini ha scavato una trincea di 50 mt per 40 cm di profondità in meno di una giornata. Qualcuno di noi ha provato a dargli il cambio ma dopo pochi minuti tutti i nostri limiti occidentali sono venuti a galla. Pensate che Justen, quando mangiavamo il pollo non lasciava nel piatto nulla, di solito noi gli ossicini li lasciamo sempre.

A questo punto, che dire, mercoledì torno a Karà per prendere Manlio e Claudia e il loro arrivo è contraddistinto da un furgoncino per 9 persone con almeno 18 a bordo oltre al bagaglio di ognuno, mentre Manlio e Claudia puzzano come capre. Ce ne torniamo verso la missione sotto un diluvio incredibile ma consapevoli del fatto che mercoledì sera saremmo stati di nuovo tutti insieme, con Mattia che ha preparato una immensa placca di pizza per festeggiare nel modo migliore (anche se per farla abbiamo fucilato mezza bombola di gas delle suore). Abbiamo lavorato tutti in perfetta sintonia. Abbiamo condiviso tuti i momenti della giornata con un sacco di bambini che non hanno nulla. Arrivano durante la giornata a raggiungere un numero impressionante e, fortunatamente per noi, verso metà settimana, quando il grosso del lavoro materiale era terminato, lasciando a Gabriele e Claudio il lavoro di elettronica, ci ha consentito di vivere il villaggio e, a piedi, di raggiungere molti villaggi vicini. Fortunatamente la possibilità di portare ognuno di noi, oltre il bagaglio a mano, due valigie di 46 kg, ci ha dato la possibilità di portare un sacco di vestiario da distribuire anche in quella zona. Non è per niente simpatico, né piacevole essere attorniati da bambini che quasi tutti con una pancia calda da vermi e con un ombelico che sembra una proboscide, ti girano intorno nudi perché, proprio, non hanno niente. Una T-shirt della mia taglia consente a duna bambina di 7 anni di avere un vestito intero, il resto ve lo lascio immaginare.

Tutti i residenti della zona hanno manifestato un’ospitalità incredibile, abbiamo visitato villaggi e case poverissime con la loro totale dignità. Abbiamo vissuto il giorno del mercato scoprendo che arrivano persone da km e km di distanza, a piedi, portando le loro povere e poche mercanzie per poi far ritorno alle loro abitazioni, a piedi, l’indomani. Abbiamo vissuto realtà molto più forti dell’altra volta. In quest’area rurale non c’è proprio niente. Abbiamo toccato con mano ancor di più la mancanza totale di civilizzazione, anche se le moderne tecnologie tentano di avvicinarsi, con tutti i limiti tecnici del caso, alle loro realtà. I bambini ti implorano di regalare loro un pallone o un qualsiasi gioco. Utilizzano un groviglio di frasche per costruire un pallone o qualche cosa che assomigli ad un pallone e i più fortunati hanno un vecchio copertone di moto da far correre lungo i sentieri. Nei pochi pozzi della zona abbiamo sempre trovato, anche soli, decine di bambini, che con le loro pesanti tinozze, fanno la spola per portare l’acqua. In questo periodo ci siamo resi conto che, nonostante le forti piogge, con una semplice zappa riescono a coltivare il loro ignam che li accompagna per tutto l’anno nell’alimentazione. Sinceramente siamo rimasti tutti impressionati dal livello di vita poverissimo che affligge quella zona. La malnutrizione è evidente e i disagi portati dall’acqua dei pozzi con una falda così alta inquinatissima porta a conseguenze facilmente immaginabili. Bambini di 6-7 anni che, nell’usanza tipica africana, legano nella loro schiena un fratello più piccolo e trascorrono insieme un’intera giornata. Abbiamo provato l’infelice emozione di mettere in riga 40 bambini, dar loro due biscotti, un sorso d’acqua e una caramella; forse qui da noi non saresti nemmeno riuscito a metterli in riga. Abbiamo provato l’infelice emozione di non vedere nessuno dei nostri rifiuti. Si portavano via sistematicamente tutto. I cartoni per avere un giaciglio per dormire più comodi, i barattoli e le bottiglie per andare a prendere l’acqua ai pozzi, i fili inutilizzati come legacci di fortuna anche per le loro povere biciclette. La gioia di trascorrere le giornate le ha fatte volare ad una velocità incredibile.

La domenica, dopo la messa, si è ripartiti lasciando i due impianti funzionanti con la gioia delle suore per la possibilità di far funzionare l’ecocardiografo che avevamo già portato la scorsa volta e la luce all’interno degli ambulatori. Le suore non chiedono niente, pregano, vanno a messa tutti i giorni e vivono la vita di un vero cristiano. Sono sempre pronte e disponibili con chiunque: che dire, in un posto dimenticato da Dio credo che soltanto la fede possa dar loro il conforto e la forza necessari. La domenica abbiamo lasciato la missione con la consapevolezza che questo progetto è stato portato a termine e il nostro ulteriore contributo l’abbiamo portato. C’è chi dice che è una goccia nell’oceano ma se anche quanto fatto la scorsa volta, era una goccia, qualche cosa di più l’abbiamo fatto. Noi tutti ci siamo augurati di poter ritornare in quella missione anche se forse tanti altri bambini potrebbero avere desiderio di vedere un istante di civilizzazione che arriva in mezzo a loro. Il ritorno verso la missione di Tchebebé è stato sereno: siamo rimasti da Suor Rita per due notti facendo un sacco di attività per la missione e anche qui, soprattutto al mercato, abbiamo avuto modo di stare a stretto contatto con la popolazione locale. Ci siamo divertiti, abbiamo ricevuto tantissimo per quel poco che abbiamo dato. Io, Gabriele, Nicola, Manlio, Claudio, Mattia e Claudia abbiamo dato del nostro meglio e ci auguriamo, che con il conforto e l’ausilio di tutto coloro che vorranno, altri momenti di aiuto si potranno realizzare, portando qualche ulteriore goccia tra chi ha molto meno di noi. Giova precisare che Royal Air Maroc ha perso 6 valigie, sono arrivate dopo una settimana con la frutta all’interno decisamente maturata!

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